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20 Aprile 2009 16:03

25 aprile mon amour [di Saverio Tommasi]

695 visualizzazioni - 0 commenti

di Saverio Tommasi

Lo sentiamo bussare, è il 25 aprile, è alle porte e chiede di entrare. E' quello che non trova posto nelle commemorazioni ufficiali fatte da politici che non sanno cosa dire e perciò parlano, parlano senza riprendere fiato nel terrore che qualcuno se ne accorga. E' il 25 aprile dei partigiani con gli occhi lucidi e la voce tremula. E' il 25 aprile che non ti aspetti, quello che non passa da Porta a Porta e non si ferma al Grande Fratello. Il 25 aprile non è uno scherzo e neanche una festa, se pure può assumerne i contorni. E' una riflessione. Il 25 aprile non è mai un'equiparazione. Il 25 aprile sono i sopravvissuti, i morti e i bambini, quelli a cui noi siamo chiamati a raccontare le nostre storie con nuove parole, affinché possano comprenderne almeno il profumo, per non dire l'amore. Il 25 aprile è un tentativo a cui siamo chiamati. Il 25 aprile sono le piccole storie che formano la grande Storia. Il 25 aprile è anche questo racconto, tratto da uno dei miei ultimi spettacoli. L'ho raccolto da un vecchio di Prato, della cui parlata ho voluto mantenere la cotruzione dialettale/toscaneggiante. C’è anche una storia di mucche, che non parla di partigiani, ma di un pittore che aveva lo spirito di un partigiano e di una mucca che aveva lo spirito di una mucca (del resto era una mucca). La storia inizia con il pittore e la mucca arriva solo alla fine, perciò io comincio dal pittore, che abitava a Tòsina. Tòsina si pronuncia con l’accento sulla “o”, perché dicono sia di origine etrusca e gli etruschi dicevano Tòsina, perché a loro l’accento cadeva sulla terz’ultima sillaba. Strana gente gli etruschi, infatti oggi non ce n’è più nemmeno uno. Gli americani avevano messo il comando in una villa in vetta al poggio, e il pittore di Tòsina ci andava tutti i giorni e faceva ritratti agli ufficiali, che lo pagavano dandogli da mangiare. Per arrivare alla villa percorreva una strada che era una mulattiera e scorreva in mezzo al bosco. Il bosco era minato, lui lo sapeva e tutti lo sapevano, che i tedeschi in ritirata l’avevano minato e avevano minato anche la mulattiera, ma lì non c’era pericolo perché ci erano passati gli sminatori, e allora cammina tranquillo il pittore, e per mano porta il figliolo, che gliel’aveva detto tante volte, il pittore al figliolo: “Non entrare mai nel bosco che ci sono le mine, e se entri: “Bum!” ci salti sopra. E il figliolo rispondeva: “Sì, babbo, ho capito, nel bosco ci sono le mine”. Il fatto è che mentre camminavano sentirono un lamento nel bosco, e il pittore dallo spirito partigiano disse: “Io vado, tu aspettami qui”. E il figliolo rispose: “No babbo, te non vai, mi hai appena detto che c’è pericolo, e che appena uno entra: “Bum!” salta sulla mina”. E il babbo: “No, devo andare perché c’è qualcuno che sta male, tu aspettami qui”. Hai voglia il bambino a urlare, giù il babbo dentro al bosco... gli adulti ai bambini non gli danno mai retta e fanno male, perché appena dentro al bosco: “Bum!” morì su una mina; lui lo sapeva che c’erano, ma aveva sentito un lamento ed era andato lo stesso, il pittore con lo spirito partigiano. Più tardi scoprirono che i lamenti erano quelli di una mucca. Ecco perché c’entrava la mucca. Di capre e mucche, è fatta la storia. [Tratto da "Racconti di gente giusta" - di e con Saverio Tommasi]

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