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27 Novembre 2009 16:37

Cosa vogliono le donne

893 visualizzazioni - 0 commenti

di Monica Lanfranco

Perché essere in piazza il 28 novembre? Intanto perché, secondo il Gender Gap Index, il sistema di indicatori che misurano la disuguaglianza tra uomini e donne nel mondo, l’Italia si trova al posto numero 77 per i pessimi risultati circa la remunerazione del lavoro, l’accesso ad esso, la rappresentanza politica, i diritti alla salute riproduttiva, il gender divide tecnologico, la democrazia tra i sessi. E’ vero, sono solo numeri, detti così, ma una cosa è ben certa: se si misurano impegno, qualità e raggiungimento degli obiettivi, in tutti gli indicatori le donne superano gli uomini, eppure sono meno valorizzate, non hanno potere decisionale dove conta, la loro voce è quasi nulla.  E non basta: per quanto riguarda la dimensione culturale della relazione tra i due generi l’allarme è più che giustificato: in Italia una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, nella sua vita è stata vittima della violenza di un uomo. Secondo i dati dell' Istat, sono 6 milioni 743 mila le donne che hanno subito nel corso della propria vita violenza fisica e sessuale. Tre milioni di donne hanno subìto aggressioni durante una relazione o dopo averla troncata. Ai danni di mogli e fidanzate i reati gravi: 8 donne su 10 malmenate, ustionate o minacciate con armi hanno subìto le aggressioni in casa. Un milione di donne hanno subìto uno stupro o un tentato stupro. A ottenere con la forza rapporti sessuali è il partner il 70% delle volte e in questo caso lo stupro è reiterato.
Il 6,6% delle donne ha subìto una violenza sessuale prima dei 16 anni, e più della metà di loro (il 53%) non lo ha mai confidato a nessuno. Gli autori sono degli sconosciuti una volta su quattro, nello stesso numero di casi sono parenti.
La studiosa torinese Ferdinanda Vigliani sul sito radiodelledonne.org afferma che quello del femminicidio nel mondo può essere considerato un genocidio ciclico: ogni 4 anni infatti risultano demograficamente scomparse un numero di donne pari a quello causato dal nazismo, con la differenza che nel caso delle donne le violenze cadono in un silenzio assordante.
Una variante infinita di atti violenti contro le donne, alla base dei quali ci sono la misoginia, la cultura patriarcale che si nutre della mancanza di parità, che fin dall’infanzia condisce l’educazione, in famiglia, a scuola, così come negli altri  gruppi sociali, con un ingrediente micidiale: il considerare le caratteristiche femminili come inferiori a quelle maschili. Certo, una si salva: la competenza affettiva. Quella sì che la si delega alle donne, sistemate così, in azienda come a casa, nell’eterno stereotipo dell’oblatività del sesso debole.
Senza comprendere che la cultura della violenza penalizza l’intera società in ogni sua forma e declinazione. Una società sessista è una società nella quale la metà della popolazione soffre, e questa sofferenza danneggia ogni essere umano esposto alla privazione, umiliazione e ingiustizia che il sessismo produce. Il sessismo è un male pervasivo, che non si esprime solo negli atti di violenza e nella discriminazione, ma informa anche le scelte politiche dei governi: un caso recente ed eclatante è la decisione di vietare l’immissione in commercio della pillola RU486 in attesa di un parere tecnico del ministero della Salute circa la compatibilità tra la legge 194 e la pillola. Una decisione che, secondo Silvio Viale, ginecologo torinese che ha sperimentato la RU486, “allinea l'Italia alle posizioni di Polonia, Malta e Irlanda, dove l'aborto è vietato”.
Nel femminismo si parla di partire da sé come motore della rivoluzione: partire da sé per approdare all’autorevolezza e alla coscienza di sé come donna, prima di ogni altra definizione. E, straordinario programma politico globale mai riconosciuto come prioritario, il primo femminismo sconvolse l’ordine del pensiero e della visione del percorso collettivo svelando l’ovvio, per la politica tradizionale: che il personale è politico.
Ovvero che il fine non giustifica i mezzi, che non si può parlare di cambiamento a parole se non lo si agisce nel fatti, e in prima persona, che la coerenza tra l’apparenza esterna e la realtà nelle mura di casa contano.
Mai come oggi, però, questa priorità è emergenza, e salta agli occhi come la restaurazione del doppio binario pubblico/privato stia demolendo a mazzate quella visione e quella proposta etica, sociale, politica nella quale il confronto paritario tra i due generi era, ed è, centrale e imprescindibile. Anche questo,  in piazza, a Roma così come in ogni città italiana, i gruppi di donne, giovani e meno giovani, (e speriamo anche tanti uomini,) diranno e renderanno pubblico.


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