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12 Ottobre 2010 16:02

La mitezza non è più una virtù

1234 visualizzazioni - 4 commenti

di Monica Lanfranco

Quando studiavo alle superiori la mia classe si era divisa tra chi parteggiava per Thomas Hobbes e chi invece teneva per John Locke. Per sommi capi diciamo che Locke era il supporter di chi stava a sinistra, contro il determinismo e la concezione ‘homo homini lupus’ del tetro Hobbes, amato invece da chi stava iniziando un percorso di adesione alla destra: la speranza contro la legge della giungla, la mitezza e la ragionevolezza contro l’aggressività e l’arroganza. Non che a sinistra l’aggressività e l’arroganza mancassero: era che non si dava per scontato che una società dovesse reggersi su valori mutuati dal dominio, dalla forza e dal testosterone, che pure abbondavano dovunque. 
Anche allora non era semplice assumere il monito, pronunciato nel discorso della Montagna da Gesù di Nazareth “Beati i miti, perché erediteranno la terra”. 
Già, la mitezza: come sembra lontano il tempo in cui i dibattiti tv, gli show del sabato sera, i programmi dedicati all’adolescenza non erano arene sanguinose dove urla, insulti, umiliazioni e volgarità la facevano da padrone. Ormai è chiaro che anni e anni di lavaggio del cervello attraverso la comunicazione, l’informazione e l’educazione attraverso la  tv standardizzata sul modello del prevaricatore vincente hanno provocato una mutazione antropologica profonda, ineluttabile in questo paese.
Agli incroci delle strade, in auto come a piedi, fuori dai locali collettivi, in treno, a scuola, nei posti di lavoro, dal nord al sud è un aumento esponenziale del gesto violento, della rissa, dell’aggressione connessa o non connessa con la piccola e grande criminalità. 
Del resto è noto che nel belpaese sono in crescita in maniere sensibile le liti, quelle del condominio, quelle evitabili e risolvibili attraverso la relazione pacifica tra le persone, se questa ancora esistesse e contasse: un’aggressività diffusa e persistente, indicatrice della fine del senso del buon vicinato, primo gradino indispensabile per poi edificare, su vasta scala, la convivenza civile.
A Roma il corpo di una donna riverso a terra in metropolitana è stato scavalcato e ignorato da decine di persone per oltre due minuti prima che qualcuno si chinasse e intervenisse; la donna, infermiera trentenne ora in coma, è stata scaraventata al suolo da un energumeno ventenne, che sembra l’abbia inseguita dentro la metro a causa di un litigio iniziato davanti alla fila per i biglietti. 
A Milano un uomo è anche lui in coma per le ferite riportate dopo un pestaggio causato dal suo accidentale investimento di un cane: un altro energumeno, fidanzato della proprietaria del povero animale, lo ha affrontato e ridotto in fin di vita. Ma non finisce qui, perché gli amici dell’aggressore hanno poi intimidito gravemente alcuni testimoni dell’accaduto, che hanno deposto e confermato che l’investitore non andava ad alta velocità e si stava scusando dell’orribile fatalità. 
Per qualche giorno assisteremo alla solita sequenza mediatica: sgomento, spreco di aggettivi, giuramenti da parte di amici e parenti circa la bontà degli aggressori. Nessuno poteva prevedere queste reazioni, erano così brave persone, chi l’avrebbe mai detto, forse sono stati provocati. 
Certo, chi l’avrebbe mai detto che questo paese, che si proponeva nell’iconografia classica un po’ cialtrone ma popolato da gente buona e di cuore, potesse trasformarsi in un posto inquietante, dove essere gentili e solidali è sinonimo assoluto di perdente, dove chi governa invita le giovani di bell’aspetto a trovarsi uno ricco per sistemarsi e spinge bellimbusti palestrati a diventare modelli ai quali aspirare, consacrati a idoli da programmi tv sia di intrattenimento come da quelli di informazione, in un continuum di messaggi formativi ed educativi che contribuiscono alla minimizzazione e alla giustificazione, (se non alla legittimazione), della reazione violenta, dell’insulto, della prevaricazione come  giusto e valido comportamento. 
Picchia per primo, non ti fermare a pensare, guarda avanti dritto, scavalca qualunque ostacolo: questo il nuovo prontuario che madri e padri devono tenere a mente per l’educazione della prole, se vogliono figli e figlie vincenti e non ‘sfigati’, come si dice oggi. Come dar loro torto, in un’ottica di salvaguardia del sangue del proprio sangue, quando le agenzie educative sono a livello zero nella graduatoria delle priorità politiche e sociali?  
La mitezza, categoria etologica ben lontana dalla remissività e dalla modestia, ma ingrediente indispensabile per costruire empatia e relazione tra umani è ormai un attributo obsoleto nell’orizzonte educativo e formativo dell’Italia aggressiva e urlatrice dei potenti e degli arroganti.  
Come uscirne, e quando, oggi sembra un angoscioso interrogativo senza risposta.
 

COMMENTI

14 Ottobre 2010 12:02

Il primo passo è: non aver paura. Difronte a tali atti brutali, la prima reazione di molti e - non nascondo - anche mia, è paura e ne consegue la fuga nell'ignavia, nascondendosi, sperando di non essere i prossimi a venire aggrediti. Così facendo rinforziamo nell'aggressore la sua convinzione di essere un "vincente". Alziamo la testa, guardiamoci intorno, uniamoci, riproponiamo con convinzioni i nostri valori e applichiamoli: siamo in molti a non essere daccordo!

emma

13 Ottobre 2010 15:12

Molto di quanto dice monica Lanfranco, purtroppo è vero, ma, per fortuna non tutto: ci sono agenzie educative, insegnanti, ma anche associazioni che indicano percorsi diversi e, fortunatamente, ci sono giovani che ascoltano; ecco: ascoltare, imparare ad ascoltare gli altri, riconoscere che l'altro mi è fratello, questo porterà nuova mitezza tra gli italiani. Certo che se alla morte di militari il ministro competente(?) propone l'uso delle bombe, la strada di contrasto si fa molto in salita

paolo bertagnolli

13 Ottobre 2010 13:10

Mi occupo da anni di crescita delle coscienze e sono convinto che non vi possa essere sviluppo armonico della società senza crescita interiore degli individui. La crescita interiore porta alla realizzazione di una spiritualità non più demandata alle religioni, bensì scoperta dentro e fuori di sè nella intima relazione di tutte le forme viventi. Il senso di appartenenza alla Vita Una rende responsabile l'individuo delle sorti del suo vicino, della società tutta e del pianeta Terra. Senza questa visione la persona è di fatto rinchiusa in un egoismo o egocentrismo senza luce.

edoardo

13 Ottobre 2010 11:04

Intanto non bisogna elevare il livello di aggressività proagandandone queste infamie, relegandole a semplici notizie di cui tener conto. Poi c'è bisogno che ognuno di noi - che ne è offeso - accentui la sua presenza nel sociale, non solo come obbligo del vivere civile,ma anche come sua salvaguardia se crede di continuare ad abitarlo. Una rivoluzione dei costumi e della cultura, poi, può fare il resto. Antonio Marchi

antonio

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