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6 Dicembre 2006 12:04

Non di solo padre - di Monica Lanfranco

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di Monica Lanfranco

Non di solo padre di Monica Lanfranco C?è la reazione sgomenta. ?Come faccio a mettere i miei figli di fronte alla scelta tra me e il loro padre??. C?è quella sadica, specifica della burocrazia, uffici comunali e giudiziari, alla quale fin qui devi assoggettarti per sperare che l?infinita richiesta vada a buon fine: ?Signora, si rassegni, non è detto che si possa fare?. C?è quella difensivo - ragionieristica:?Ma che succede quando si sposano due persone con due cognomi, quanti e quali ne devono poi dare ai figli??. C?è infine il commento (auto)rassicurante: ?Ma che importanza ha se portano il mio cognome, tanto sono sempre la loro madre, e questo nessuno me lo potrà mai togliere?. Quest?ultimo l?ho registrato anche da madri femministe, non solo da donne lontane dalla politica. Perché un conto è essere madre, e un altro è contare socialmente e politicamente nell?essere la madre, così come costituisce un potere reale essere il padre. Le donne nella storia dell?umanità si sono accontentate dell?evidenza, della certezza iscritta nella loro carne, nel concreto e materiale gesto di mettere al mondo, che di per sé dovrebbe costituire il merito autorevole dell?onere e dell?onore della maternità. Dovrebbe contare il fatto di dare la vita, visto che si nasce da una donna perché lei sceglie di diventarlo, se il percorso dal concepimento alla nascita è frutto di scelta consapevole e di autodeterminazione. Ma sappiamo bene che l?essere madre è una conseguenza dell?essere una donna, ed essere una donna non è cadere dalla parte giusta. Sappiamo bene che la concretezza della maternità non ha mai costituito, tranne rarissimi casi, uno status di legittimità e di cittadinanza sociale, che nel tempo non si è evoluto a rango di luogo di diritti altrettanto validi come quelli del padre. La patria potestà, condizione di doppia sudditanza e possesso delle vite e dei diritti delle figlie, dei figli e della madre di questi, derivata e sancita non solo dalla consuetudine patriarcale ma anche dal consenso dello stato, è alla base della scomparsa politica della madre, attraverso l?assenza del suo cognome. Appena compiuta la sua carnale funzione di genitrice il logos prevale sulla materia, sul grembo, che non è solo terra né materia, ma non è abbastanza da diventare soggettività giuridica a tutto tondo. Mater semper certa, pater semper incertus diventa, nella costruzione del diritto, non una forza, ma anzi una debolezza. Per un perverso senso di legittimazione necessario al genere che non può dare la vita, solo la certezza del cognome paterno mette al riparo la prole, e la loro madre, dall?ambigua e nefasta definizione di ?bastarda?. Le donne, il più delle volte, tirano un sospiro di sollievo, (e lo fanno ancora in molti luoghi del pianeta) quando l?uomo che le ha messe incinta riconosce la creatura appena venuta al mondo. Per alcune, ancora oggi e qui in occidente è anzi fondamentale che lui compia questo passo di responsabilità, perché in un orizzonte futuro negativo quel cognome garantisce lo spazio della rivalsa, inchioda e vincola il maschio, altrimenti libero, alle sue responsabilità. Potremmo dire, adottando gli strumenti della psicoanalisi, che il vincolo del riconoscimento con il proprio cognome da parte del maschio è il prezzo che lui deve pagare per risarcire la donna della maggiore libertà che il suo genere ha nell?esercizio della propria sessualità? L? attribuzione del cognome del padre diventa così l?inizio della vita politica per il nuovo/nuova cittadina, senza il quale l?orizzonte è incerto, pericoloso, spesso foriero di morte, certamente segno di disapprovazione sociale. Nell?evoluzione politica del nostro paese neppure con la riforma del diritto di famiglia è stato intaccato il principio, fin qui indiscusso, che il cognome del padre fosse ?il cognome?, l?unico possibile e legittimo segno di riconoscimento dell?identità, il biglietto da visita con in quale, affermandosi come figlio o figlia del padre, si saliva il gradino più elevato nella polis rispetto a quello ancestrale dell?essere stato generato carnalmente dalla madre, non degna di memoria e di menzione nel patronimico, che appunto non è matronimico. . Da oltre vent?anni, con alterne fortune, aspettano in Parlamento proposte di legge per sradicare l?evidente ingiustizia dell?impossibilità di affiancare, o sostituire, il cognome materno a quello del padre. Forse oggi potremmo farcela. Ma non sarà facile. La faccenda del cognome materno, sia esso aggiunto o sostituito, deciso dai genitori o dalla prole maggiorenne non ha solo aspetti economici, giuridici e persino burocratici evidenti e importanti: è una questione di potere, e di riconoscimento di attribuzione dell?autorevolezza politica della funzione materna. Se non si matura nella società questo aspetto, se non si formano le menti delle giovani generazioni in questa direzione, tramandando il significato centrale, profondo e fondante dell?esercizio politico della maternità non solo come carnalità ma come valore pari grado a quello paterno non avremo reso davvero giustizia alla genealogia cancellata di migliaia di anni di maternità. www.monicalanfranco.it

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