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26 Marzo 2007 11:09

Quali giornalisti quali talebani

2560 visualizzazioni - 3 commenti

di Vincenzo Maddaloni

Da quando è stato liberato Daniele Mastrogiacomo, si è tornato a parlare molto della funzione del giornalista in un teatro di guerra complicato come lo è l?Afghanistan. Il fatto che in Italia più che altrove la politica estera resta un?appendice della politica interna, certamente non agevola questa funzione. Ha ragione D?Alema quando sostiene che il problema nasce non solo dalla classe politica, ma anche del giornalismo, cioè da gran parte della classe dirigente. Infatti, per cause storiche e culturali abbiamo una classe dirigente restia non solo a pensare la politica estera in termini globali, ma persino a coltivare curiosità per quelle zone dove sono presenti i soldati italiani e lo Stato spende. Che tutto questo sia vero lo conferma la gran parte di quanto è stato detto e scritto in Italia negli ultimi sei anni a proposito dei grandi temi della politica estera incluso l?Afghanistan con i suoi talebani. Eppure, per rimediare, basterebbe un semplice ripasso ricordando ? per esempio ? che ben tre guerre furono perse con l'Afghanistan, nell'Ottocento e nel Novecento. L?Inghilterra le perse perché insediò a Kabul dei governi fantocci, perché non tenne in alcuna considerazione le sue antiche decentrate strutture tribali, perché credeva che era il miglior modo per fare dell?Afghanistan uno Stato cuscinetto tra Russia, Persia, India. Sono errori che stanno ripetendosi, e fa impressione che nessuno se ne sia rammentato. Ricordo ancora le parole di Boris Gromov, il generale dell?Armata Rossa che seppe uscire con dignità dalla trappola afgana :? Abbiamo perso la guerra perché non abbiamo rispettato le promesse con la popolazione, come non era mai accaduto prima?. Mi spiegava :? Dai tempi dell?Impero zarista noi abbiamo una grande esperienza a trattare con i musulmani. Se così non fosse non avremmo conquistato il Caucaso e l?Asia centrale. Che cosa insegna l?esperienza russa nei conflitti con i musulmani? Di non distruggere indiscriminatamente, ma di colpire i centri di potere dei tiranni e poi intervenire in soccorso della popolazione con ingenti aiuti economici. Così facendo abbiamo sempre vinto. Siamo stati sconfitti in Afghanistan perché è venuta a mancare questa fase. Gli ottusi dirigenti che hanno preceduto Gorbaciov, non avevano rispettato le promesse, e i pastori afgani delusi ci si sono rivoltati contro. Non vi si poteva rimediare se non ritirandosi?. Da quella intervista sono passati sedici anni, Boris Gromov è ora il governatore della Regione di Mosca, di recente è venuto in Italia, in Toscana, per visitare i distretti industriali e avviare un?esperienza di collaborazione. Certamente sarebbe rimasto basito se avesse ascoltato la quantità di chiacchiere sulla libertà restituita a Daniele Mastrogiacomo e gli inevitabili giudizi sulla professione del giornalisti. Infatti, ne è uscito, per molti versi, un ritratto mortificante come quando, qualche sera fa a ?Porta a Porta? il direttore di un quotidiano ha definito il viaggio di Mastrogiacomo inutile spiegando che si potevano scrivere le stesse cose restando a Milano senza mandare i giornalisti allo sbaraglio. Siccome il direttore dirige un quotidiano di destra ha trovato subito un senatore della Lega che lo ha supportato affermando che quel viaggio è solo servito a gettare discredito sull?Italia poiché restano le conseguenze politiche della liberazione dell?ostaggio ottenuta dando in cambio cinque prigionieri talebani. Naturalmente il senatore ha pure ribadito che quel ?viaggio del giornalista? è stata pura follia perché ?di sapere quel che pensano i talebani non c?era assolutamente la necessità?. Più ingenua e perciò ancora più disarmante l?osservazione (su un?altra emittente pure nazionale) di un deputato pure di destra che si è confessato pure giornalista il quale si è domandato davanti all?Italia intera perché Mastrogiacomo non avesse chiesto direttamente ai Talebani di venirlo a prendere con una loro vettura, ? si sarebbero evitati tanti guai?. Così chiedendo l?onorevole che è stato pure presidente di Regione di colpo ha cancellato quello che è stato scritto e si sta scrivendo da più di centocinquant?anni e cioè che i problemi di quel paese sono diversi dai nostri non soltanto per motivi sociali ed economici, ma anche culturali e religiosi. Che le culture contano più delle razze, ossia i diversi modi di visione del mondo, elaborati e mantenuti per secoli, determinano il carattere e dunque la storia dei popoli. Insomma che i talebani non gestiscono un?azienda di soggiorno, che mai sarebbe loro passata per la mente l?idea di mandare una vettura all?inviato di un giornale. Che cosa pensare? In un mondo mediatico in cui si continua a incoraggiare un giornalismo speculativo e spettacolare, a scapito di un giornalismo di informazione e che dequalifica la figura stessa del giornalista fino ad annullarla, c?è poco da pensare. Non conta più che un professionista esperto sia formato e aggiornato per intervenire con sicura competenza sui nodi sempre più ardui del mondo contemporaneo. La funzione ?terza? del giornalismo non interessa più. Meno che mai il prendere posizione, sia pure argomentata e provata, di giornalisti competenti che ?verificano alla fonte?. Spiegava Bernardo Valli su La Repubblica: ??Daniele Mastrogiacomo ha un maledetto difetto, soffre di una malattia cronica: cerca quel che accade fuori dal video, ficca il naso nella realtà non inquadrata dalle telecamere? Voleva incontrare i Taliban che nessuno incontra. Sono in tanti adesso a dire che stavano per andare con lui. Ma era solo. I cronisti che vanno ?sul posto? sono quasi sempre soli? La realtà ha i suoi odori. L?aria condizionata della camera d?albergo li cancella?. Ma il reporter come Mastrogiacomo in Italia è ormai minoritario in una folla di operatori vari. La celebrità spetta al conduttore televisivo, al maggiordomo del salotto mediatico. Sempre più spesso i non giornalisti sono catapultati al vertice della professione. Poi ci sono i politici che sempre di più intervengono nel mestiere del giornalista, e infine gli editori che sono imprenditori, attivi in molti campi, a cui interessa solo il business e questo soltanto. Sicché in un simile panorama posto che sia mai stata un categoria, quella dei giornalisti cessa di esserla ogni giorno di più. La definizione di una identità professionale rischia di diventare solo soggettiva e quindi doppiamente relativa. Ormai è giornalista chi si qualifica tale, e chi riceve dalla società il diritto di qualificarsi così. Infatti, anche in una vicenda drammatica come questa, non si è riuscita a ridurre la distanza tra ciò che crede d?essere un giornalista e ciò che pensa di lui la società, soprattutto quando a rappresentarlo ci sono direttori come sopra. Siccome gli editori chiedono meno professionismo e più precariato, lo scenario che si va concretizzando, giorno dopo giorno, è quello di schiere di ragazzi e di ragazze a ore che tagliano e incollano, o vanno in onda soavi a leggere strisce di notizie preparate dalle poche agenzie del mondo. Il tutto, come ricordava Furio Colombo, supportato da una:? gestione accorta delle voci autorevoli raccolte su piazza - le voci degli editorialisti e dei commentatori- da cui, di volta in volta, si può ottenere tutto e il contrario di tutto, considerato che sempre meno gente ha fatto la Resistenza e sempre meno gente la mette giù dura con i principi irrinunciabili della Costituzione?. Se questi sono i fatti allora sarebbe urgente tenere desta l?attenzione sullo sforzo di Mastrogiacomo a stimolare la curiosità per il mondo, per quella parte del mondo in guerra. Non solo perché il giornalismo si ricongiunga con la verità, ma perché la politica cominci a sprovincializzarsi. Avremmo tutti da guadagnarne. www.vincenzomaddaloni.it

COMMENTI

27 Marzo 2007 00:24

Ciò che sta succedendo in Afghanistan è che nessuno vince, specialmente se la guerra diventa più estesa e più dura, perché la guerra è un tonico per chi, su quelle montagne, vive di guerra. Gli ex sovietici lo sanno. A meno di dare alla popolazione altre ragioni. Gino Strada ne ha data una, i suoi ospedali. Lorenzo Chiaris

Lorenzo Chiaris

26 Marzo 2007 23:39

I fatti sono questi: l´opinione pubblica italiana si vede rovesciare addosso le notizie come se venisse giù la parete di una montagna. Ogni notizia ne distrugge altre e alla fine restano detriti, disorientamento e scontento. Se guardiamo in faccia il problema, vediamo che le ragioni sono tante: la contraddizione e la non chiarezza delle fonti, la sovrapposizione di informazioni o notizie contrastanti, la rapidità estrema e disordinata con cui si susseguono affermazioni e negazioni, la confusione con cui alcune cose vengono dette e poi lasciate circolare nel buio. Questo succede soprattutto in televisione e in un Paese dove la gente legge poco i giornali. Gino Camuffo

Gino Camuffo

26 Marzo 2007 19:45

Sono d?accordo. Tutto accade perché questa guerra afgana, in corso da più di cinque anni, non sappiamo ancora definirla. Non sappiamo se sia guerra, e che tipo di guerra. Non abbiamo definito i nemici: sono terroristi che ci minacciano in casa? O semplicemente degli insorti locali? È un'incapacità che spiega parecchie reticenze, non solo italiane ma europee: con la variante che solo da noi la reticenza è chiamata antiamericanismo, inaffidabilità, capitolazione. Questo perché il dissenso dall'America è vissuto in Italia come una maledizione, da qualche tempo, capace di sottrarre legittimità ai governi. Il disaccordo da noi non è chiamato dissenso ma evoca ferite, tradimenti: strappo è la parola scomunicatrice di un paese dove manca sia l'autonomia, sia una quotidiana coscienza europea. E soprattutto una cattiva informazione, che confonde le idee, che non fa chiarezza. Giulia Ridolfi

Giulia Ridolfi

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