'Gaza Hospital' di Marco Pasquini

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Davvero unico e straordinario, questo Gaza Hospital: un luogo imponente del cuore della Beirut popolare, attorno al quale girano gli anni terribili della “guerra dei campi”, più o meno dal 1981 al 1987. Era un riferimento per l’intera città, alto una decina di piani, frequentato dalla gente più povera, libanesi e palestinesi deportati nei campi. Questo fino al massacro di Sabra e Chatila, quando l’ospedale, vicinissimo ai campi, fu prima bombardato e poi tutti i suoi abitanti passati per le armi, medici, infermieri e malati. Un eccidio compiuto dalle Falangi libanesi con la collaborazione decisiva dall’esercito israeliano e la solita complicità degli americani. Ricostruito, finirà di nuovo sotto i colpi e le bombe dell’infinita “guerra dei campi”, fino a che nel 1987 sarà abbandonato del tutto, diventando un grande campo profughi verticale. Girato benissimo, con grande attenzione sia alla storia collettiva (indimenticabili le immagini di Beirut, quelle del dolore come quelle della festa) sia alle piccole straordinarie storie dei singoli. Quella di Swee Chai Ang, dottoressa malese; quella di Aziza Khalidi, amministratrice dell’ospedale; Ellen Siegel, un'infermiera ebrea americana; e soprattutto Yousef Hamza, vecchio barbiere, cacciato dalla Palestina, due figli caduti martiri, anche lui finito a vivere all’Hotel Gaza: a rappresentare la più vecchia delle varie generazioni che vivono nel Gaza e che si rifiutano di essere cancellate.