Freddie McGregor è uno dei pochi grandi artisti della storia del reggae a non essere ancora passato dal festival e siamo lieti di averlo quest’anno quindi per la prima volta. Le radici del suo stile impeccabile affondano nei tempi dello ska in cui era già attivo anche se giovanissimo. La sua carriera ha attraversato quindi quattro decadi di musica giamaicana toccando i vertici di creatività e di successo nei primissimi anni ottanta e spaziando da grandi esempi di roots music a dolcissimi hits lovers rock e qualche incursione nella dancehall. E’ noto per essere un efficacissimo interprete che ha rivitalizzato in era digitale tanti classici del periodo rocksteady ed early reggae ma ha anche composto tanti importanti classici. E’ nato in Giamaica a Clarendon il 27 giugno del 1956. All’età di sette anni era già il backing vocalist dei Clarendonians che registrarono per Studio One fino al loro scioglimento: il passaggio successivo è stata la creazione di un duo con l’ex- Clarendonian Ernest ‘Fitzroy’ Wilson con il nome di Freddie & Fitsy. Per Studio One questo duo è il normale proseguimento dei Clarendonians al punto che una loro canzone e cioè ‘Do good’ finisce nell’unico album che Coxsone Dodd da alle stampe del gruppo e cioè il classico ‘The best of Clarendonians’. Durante tutti gli anni settanta Freddie resta poi dietro le quinte a Studio One come batterista di studio o corista, sviluppando un suo stile vocale carico di influssi soul: l’etichetta di Brentford Road pubblica vari suoi singoli come ‘Go away pretty girl’ o ‘Clean up Jamaica’ senza però ottenere grande successo. In questo periodo Freddie si fa le ossa on stage come cantante di prestigiose bands come i Soul Syndicate o la Generation Gap. Nel 1975 l’artista si converte al Rastafarianesimo e la mistica ha un profondo impatto sulla sua creatività: lo standard dei suoi brani a Studio One si innalza notevolmente e Freddie incomincia a lavorare anche sotto la supervisione del chitarrista Chinna Smith. Nel 1976 escono per Studio One i singoli ‘I man a Rasta’ e ‘Rastaman camp’ e l’anno seguente esce ‘I’m a revolutionist’ mentre la etichetta Soul Syndicate di Chinna fa uscire ‘Mark of the beast’, ‘Natural collie’ e ‘Love ballad’. Più o meno nello stesso periodo del 1979 escono i primi albums: Niney The Observer è il primo a far uscire l’ottimo ‘Mr. McGregor’ con la sua versione di ‘Rastaman Camp’ mentre Studio One realizza il super-classico ‘Bobby Bobylon’, uno dei suoi lavori migliori di sempre. Intorno al 1980 Freddie è il cantante di cui tutti parlano e che tutti amano: in quel periodo produce il primo album mai prodotto ai Tuff Gong Studios a 56 Hope Road e cioè ‘Black woman’ di Judy Mowatt (a cui Freddie in questo periodo è anche legato sentimentalmente) e sempre ai Tuff Gong registra il suo hit ‘Jogging’. Il cantante inizia ad andare incontro ai cambiamenti di stile con un bellissimo album ancora prodotto da Niney ed intitolato ‘Showcase’ in cui si concentra sulle canzoni d’amore e su un suono assai dolce. L’incontro con Linval Thompson come produttore lo porta ad abbracciare i sinuosi suoni di una nuova band, la Roots Radics ed a centrare il bersaglio con un clamoroso hit come ‘Big ship’: il brano intitola anche l’album di enorme successo che porta Freddie al pari di grandi cantanti come Gregory Isaacs e Dennis Brown. L’impatto di questo brano e questo album è talmente importante che l’artista chiamerà in seguito la sua etichetta personale proprio Big Ship. Nel 1983 Freddie firma per la statunitense RAS ed accresce il suo successo mondiale con albums come ‘Come on over’ e ‘Across the border’, quest’ultimo contenente addirittura la sua cover di ‘Guantanamera’. L’autoprodotto ‘All in the same boat’ contiene l’ottimo hits ‘Push come to shove’ mentre la firma per l’etichetta Polydor è suggellata nel 1987 dal successo nelle pop chart inglesi della cover di ‘Just don’t want to be lonely’ dei Main Ingredients. Alla fine degli anni ottanta Freddie fonda la sua etichetta Big Ship e si lega anche a Gussie Clarke, il produttore che sta rivoluzionando la scena con i suoni digitali dei suoi studi Music Works. Sulla sua etichetta l’artista registra i fortunatissimi due volumi della serie ‘Sings Jamaican classics’ in cui reintepreta un buon numero di storici classici del passato ed ottiene un buon successo con ‘Winner’, la sua versione di ‘Looser’ di Derrick Harriott. Come produttore realizza un ottimo album dell’astro nascente Luciano intitolato ‘Shake it up tonight’. Per Gussie Clarke registra nel 1993 l’album ‘Legit’ insieme a Dennis Brown e Gregory Isaacs mentre sempre per Clarke ha un ottimo successo lo stesso anno con la sua cover digital-ska di ‘Carry go bring come’ di Justin Hinds & The Dominoes. Negli ultimi anni ha continuato a registrare a ottimi standards: nell’ultimo decennio citiamo gli albums ‘My heart is willing’ e ‘Coming in tough’.
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