Con Maria Chiara Tallacchini e Nico Pitrelli
Molti sono convinti che la nostra epoca, in particolare nel nostro paese, sia caratterizzata da nuove forme di oscurantismo. Questa posizione è comprensibile. Il dibattito che ha accompagnato l’opposizione agli Ogm, al nucleare, alla sperimentazione animale, alle politiche sui cambiamenti climatici e, per venire a tempi e vicende nostrane recenti ma di rilievo internazionale, il caso Stamina e il processo dell’Aquila, sembrano giustificare pienamente riflessi difensivi. Tuttavia, se dietro a molte questioni che hanno toccato il nostro paese esiste la colpevole assenza di una cultura di politica della scienza e la tematizzazione precisa dei rapporti tra scienza, diritto e scelte democratiche, le narrazioni che hanno attribuito la responsabilità di tali eventi all’ignoranza del pubblico hanno dipinto la comunità scientifica come l’ancora di salvezza contro le irrazionalità della politica e proposto scenari esplicativi profondamente riduzionistici, che amputano ampie aree di informazione e riflessione. La resistenza pubblica alle innovazioni scientifiche e tecnologiche può essere letta come un segno di vitalità democratica e non necessariamente come un ostacolo. Si tratta di un punto di vista di cui potrebbero beneficiare sia le istituzioni, sia la stessa produzione di conoscenza.
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