Mai come in questo periodo politica e industria stanno puntando sull’idrogeno. Si investe e si sviluppano nuove tecnologie a un ritmo senza precedenti. Al momento la maggior parte dell’idrogeno deriva ancora dal gas naturale e dal carbone e la sua produzione emette quanto il regno unito e l’Indonesia combinati. Circa i tre quarti di tutto l’idrogeno prodotto deriva dal gas naturale (il 6% del consumo di gas naturale al mondo serve a produrre idrogeno); per ogni tonnellata di idrogeno si producono 10 tonnellate di CO2. La seconda fonte di idrogeno è il carbone che conta per il 23% del totale; per ogni tonnellata di idrogeno si producono 19 tonnellate di CO2. La restante parte deriva quasi tutta dal petrolio, dall’elettrolisi e dalla biomassa. Nella Unione Europea va un po’ meglio. Da un’analisi del 2019 l’idrogeno derivante da elettrolisi era il 4% della produzione totale, ma comunque la stragrande maggioranza arrivava da fonti fossili, con il rilascio di 70-100 milioni di tonnellate di CO2 nella sola UE. L’Unione Europea ha deciso di investire nell’idrogeno rinnovabile (elettrolisi da rinnovabili, da biomassa e reforming del biogas) Entro il 2030, l’idrogeno dovrebbe diventare una componente intrinseca del nostro Sistema energetico integrato, con almeno 40 gigawatt di elettrolizzatori per la produzione rinnovabile di fino a dieci milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile nella UE.
Al momento, purtroppo, l’idrogeno verde è 5 volte più costoso di quello derivante dai combustibili fossili. Che ruolo potrebbe giocare questo vettore energetico nel complesso settore del riscaldamento domestico? Vista la situazione geopolitica, la domanda è ancora più importante. Ho provato a far un quadro della situazione.
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