Alfonso Amendola ed Ercole Giap Parini – “Non lasciamo che uccidano i poeti”. Produzione culturale, società, conoscenza e lavoro intellettuale in Pier Paolo Pasolini, nell’ambito della rassegna “Una mutazione antropologica. Pasolini e la Grande Trasformazione sociale” a cura di Luisa Stagi, in collaborazione con Università degli Studi di Genova, Dipartimento di Scienze della Formazione – Laboratorio di Sociologia Visuale
Lo slogan di dolore e volontà scritto su un anonimo striscione alzato durante i funerali di Pier Paolo Pasolini («non lasciamo che uccidano i poeti») è un’eco che tuttora vive come una ferita mai rimarginata. Sappiamo bene che non è facile parlare dello scrittore e regista di Casarsa ma la scelta di questa riflessione a due voci vuol essere una piccola, parziale «introduzione» all’opera pasoliniana nel quadro sociologico. L’opera di Pasolini costituisce, ancor oggi, uno spazio immenso di indagine e sembra proprio che, a dispetto della foltissima bibliografia critica che lo riguarda, sia sempre possibile aggiungere qualche tessera al variegato mosaico finora composto da voci diversissime che hanno trattato il suo lavoro. Infatti, quella pasoliniana è un’opera (tra poesia, cinema, teatro, narrativa, arti visive, saggistica e cronaca) che riesce a dialogare, come poche, con quasi tutti i generi espressivi del Novecento. Un dialogo, certo, impervio. Giammai esente da incomprensioni, contraddizioni, difficoltà e che tuttavia ha visto il nostro autore sempre disposto al confronto, anche a rischio di apparire isolato, conservatore o «fuori moda».
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