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Come due banche venete hanno provato a salvarsi a spese dei clienti

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Gli effetti della crisi del 2008 arrivano a colpire le banche di tutto il mondo, compresa l’Unione europea.

In Italia, lo Stato stanzierà in totale circa 24 miliardi di euro per le operazioni di salvataggio.
L’equilibrio di tutto il sistema viene messo in discussione, così le autorità iniziano ad aumentare i controlli.

Qualche banca in difficoltà, per evitare la liquidazione forzata, fa carte false.
Tra queste, troviamo Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza, le due banche venete.

Le due banche mettono in piedi una vera e propria truffa ai danni di risparmiatori e piccole imprese.

Il meccanismo della truffa prevedeva uno scambio di azioni e prestiti che andavano a tamponare i bilanci delle banche in difficoltà.

Le azioni che davano queste banche erano presentate come un investimento sicuro.
In realtà le banche erano in serie difficoltà per via della crisi e quindi erano investimenti molto poco sicuri per i loro clienti.

Nel 2013, però, un’ispezione di Banca d’Italia scopre un’irregolarità nei conti di Veneto Banca e poco dopo vengono scoperti anche gli illeciti di Banca Popolare di Vicenza.

Nel 2015 i principali amministratori delle due banche venete, Vincenzo Consoli e Gianni Zonin sono costretti a dimettersi.

Lo Stato prova a tenere a galla i due istituti per garantire agli ex clienti delle banche la continuità dei servizi.

Le attività dei due istituti vengono così trasferite ad un operatore sano: Intesa San Paolo.
Per il risarcimento delle vittime della truffa, lo Stato, inoltre, crea il Fondo Indennizzo Risparmiatori.

I due alti dirigenti delle banche venete vengono condannati in primo grado a circa quattro e sei anni di reclusione.

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