Stupenda e tremenda, benedetta e maledetta, simbolica e diabolica, la parola può tutto. È un phármakon, «medicina» e «veleno», che comunica e isola, consola e affanna, salva e uccide. Edifica e distrugge le città, fa cessare e scoppiare le guerre, assolve e condanna allo stesso modo innocenti e colpevoli. Ridotta a chiacchiera, è barattata come merce qualunque: Agostino direbbe che «noi blateriamo, ma siamo muti». Com’è possibile oggi parlare bene e compiere una necessaria e urgente ecologia linguistica?
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