Giorgio Manzi - L’ingannevole antenato di Piltdown e la forza paziente della scienza. Incontro nell'ambito de La Storia in Piazza XII edizione, storia segreta.
Correva l’anno 1912, quando il cranio del tanto atteso “anello mancante” venne presentato alla Geological Society di Londra e prese l’altisonante nome di Eoanthropus dawsoni. Era stato rinvenuto nei sedimenti di una cava a Piltdown, nel Sussex, insieme a manufatti paleolitici e a resti di fauna preistorica. Era caratterizzato da una particolare combinazione di caratteri: una scatola cranica di aspetto pienamente umano e una faccia scimmiesca.
Alcuni accolsero con entusiasmo la notizia, altri con scetticismo, ma fu solo nel 1953 che venne definitivamente documentato che quel reperto non era altro che un insieme di ossa umane e di orangutan, raccordati ad arte da un falsario, forse proprio lo scopritore. Tuttavia, ben prima del 1953, il presunto antenato era gradualmente uscito dagli alberi genealogici dell’evoluzione umana, essendo sempre meno compatibile con le nuove scoperte che venivano da diversi siti in Europa, Asia e Africa.
Questa storia, aldilà dello scalpore che suscita, ci dice qualcosa sul metodo scientifico, che ha la “forza paziente” di sottoporre le proprie conclusioni al controllo delle procedure e alla verifica dei dati.
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