Roberto Mancini, Libertà e Apocalisse. Il caso di Davide Lazzaretti (1834-1878) profeta, riformatore e martire. Incontro nell'ambito della tredicesima edizione della Storia in Piazza, libro e libertà.
Figura singolare nel panorama socio-religioso della seconda metà dell’Ottocento, Davide Lazzaretti è stato considerato un “ribelle primitivo”, un “millenarista anarchico”, un “furioso rivoluzionario”, e anche un “fenomeno residuale del Medioevo”. La sua vicenda ha ricordato a molti quella di Thomas Müntzer, dei Taboriti boemi, delle jacqueries francesi e persino dei Taiping cinesi.
Beninteso: ciascuno di questi richiami ha un qualche grado di plausibilità, ma il prisma intellettuale di questo “autodidatta delle montagne” è ben più complicato di quanto possa apparire ad un esame superficiale. Nei suoi scritti affiorano prepotenti suggestioni millenariste, ansie gioachimite, spinte libertarie ‘utopistiche’ che non consentono di ricondurre la sua vicenda a quella di un confuso e arcaico rivendicazionismo sociale.
Davide Lazzaretti è stato – al di là del folklore beghino che gli è stato cucito addosso – un pensatore originale e profondo. Da Gioacchino da Fiore che ben conosceva egli mutua soprattutto l’idea della venuta di un’età nuova, dell’instaurarsi di una nuova storia in cui tutti gli uomini hanno ormai conseguito una completa libertà dello spirito. I suoi scritti a stampa – dalle Rivelazioni al Libro dei Sette Sigilli – dipanano questo filo rosso della libertà progressivamente emergente nel tempo e prefigurano una nuova società di fedeli. Il Lazzaretti fonda anche una comunità di perfetti, costruisce una cittadella sulla cima di un monte guardata da uno ziggurat solare. Forse vuole rifarsi al Monasterium di cui aveva parlato Gioachino da Fiore, forse vuole evocare la utopica Città del sole di Campanella. In ogni caso egli mette in campo un ‘esperimento’ sociale animato da quelle idee di libertà e giustizia che lo resero ben presto inerme bersaglio dei gendarmi, per nulla libertari a quell’epoca.
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