Carlo De Benedetti presenta il suo libro "Mettersi in gioco", Einaudi.
Interviene Ilvo Diamanti.
Mai un intero paradigma produttivo, il nostro, era stato cosí fortemente messo in discussione come oggi, squassato dallo spostamento dell'asse mondiale della ricchezza. Enormi diseguaglianze e una guerra su scala mondiale per il lavoro ci hanno portato a una situazione peggiore rispetto agli anni Settanta. È doveroso, tuttavia, non arrendersi e cercare strade nuove, avere una capacità di visione. Possiamo farlo se dedicheremo ogni risorsa verso ambiziose opere di ricostruzione del futuro. Come in una partita a scacchi, dovremo poter contare su due buone torri d'attacco, un alfiere attento, e una regina che si svegli dal suo torpore: giovani, imprenditori, opinione pubblica e soprattutto una buona politica. Una visione del mondo e del proprio Paese, in nome di quella che Piero Gobetti chiamava «una certa idea dell'Italia».
«La ricreazione è finita. La guerra del lavoro va combattuta e vinta. Il tempo dell'irresponsabilità è definitivamente alle spalle, la crisi ci impone di cambiare e di farlo in tempi brevi». (Carlo De Benedetti, Mettersi in gioco)
Carlo De Benedetti (Torino, 1934), laureato in ingegneria al Politecnico di Torino, nel 1976 è stato amministratore delegato della Fiat. Dal 1978 al 1996 è stato azionista, amministratore delegato e presidente della Olivetti. È presidente del Gruppo Editoriale L'Espresso e presidente onorario della CIR. Nel 1978 ha creato la Fondazione Rodolfo De Benedetti per promuovere la riforma del welfare e le politiche sociali. Con Federico Rampini e Francesco Daveri ha pubblicato Centomila punture di spillo (Mondadori 2008) e, per Einaudi, Mettersi in gioco (Vele, 2012).
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