Federico Rampini presenta il suo libro "Banchieri", Mondadori.
La crisi economica scoppiata nel 2008 con il fallimento della banca d'affari americana Lehman Brothers sembra non avere fine, in Italia come nel resto d'Europa: nonostante i governi e gli economisti si arrovellino sulle misure da adottare, le aziende chiudono, la disoccupazione aumenta, i consumi crollano. E la responsabilità della recessione in corso è stata addossata, di volta in volta, al mercato dei mutui statunitensi - i famigerati «subprime» -, allo strapotere della finanza, al peso schiacciante del debito pubblico.
Cambiando decisamente prospettiva, Federico Rampini non si chiede a «che cosa» imputare la colpa ma piuttosto a «chi», e senza alcuna esitazione afferma: «I banchieri sono i grandi banditi del nostro tempo.
Nessun bandito della storia ha mai potuto sognarsi di infliggere tanti danni alla collettività quanti ne hanno fatti i banchieri».
Dall'osservatorio privilegiato degli Stati Uniti, dove la crisi ha avuto inizio, Rampini racconta chi sono i banchieri di oggi, come abbiano potuto adottare comportamenti tanto perversi, assumersi rischi così forti e agire in modo talmente dissennato da provocare un'autentica Pearl Harbor economica, sprofondando l'Occidente nella più grave crisi degli ultimi settant'anni.
E tutto questo, contando sempre sulla certezza dell'impunità. A pagare i loro errori sono infatti i cittadini dei paesi sulle due sponde dell'Atlantico, e il prezzo è altissimo: crescenti diseguaglianze, precarietà del presente, paura del futuro. È anche alle loro «piccole» storie che Rampini rivolge lo sguardo, le storie di chi deve affrontare ogni giorno i pesanti e spesso umilianti cambiamenti di stili e condizioni di vita indotti dalle spericolate manovre dell'«alta finanza».
Perché, se le risorse impiegate per salvare gli istituti bancari sono immense, ben poco i governi hanno fatto per l'economia reale, sotto forma di crediti agevolati alle famiglie o alle imprese, che ne hanno bisogno per consumare, investire, assumere. Eppure, afferma Rampini, forse una via d'uscita da questo tunnel apparentemente infinito esiste, ed è quella indicata dal presidente Obama con il nome di «resilienza». Cioè la capacità di resistere agli shock, di risollevarsi e di ritrovare un equilibrio, indirizzando ogni sforzo verso l'attuazione di politiche che sappiano arginare gli «spiriti animali» del mercato e investire invece nell'istruzione, nella riqualificazione professionale dei disoccupati, nelle reti di protezione sociale, nella ricerca scientifica. Che è poi l'unico modo per insegnare alle nuove generazioni come crescere in un mondo destinato a un perpetuo squilibrio.
Federico Rampini corrispondente della «Repubblica» da New York, ha esordito come giornalista nel 1979 scrivendo per «Rinascita». Già vicedirettore del «Sole 24 Ore», è stato editorialista, inviato e corrispondente a Parigi, Bruxelles, San Francisco, Pechino. Ha insegnato alle università di Berkeley, Shanghai, e al Master della Bocconi. È autore di numerosi saggi, tra cui San Francisco Milano (Laterza, 2004) e Non ci possiamo più permettere uno Stato sociale. Falso! (Laterza, 2012).
Da Mondadori ha pubblicato: Il secolo cinese (2005), L'impero di Cindia (2007), Slow Economy (2009), Alla mia Sinistra (2011), Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo (2012). È autore e interprete di uno spettacolo teatrale, Occidente estremo. Da Mondadori è uscito il suo libro-conversazione con Giorgio Napolitano, La via maestra.
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