"A che serve vivere se non si ha il coraggio di lottare?"
Giuseppe Fava aveva appena lasciato la redazione del suo giornale, “I Siciliani”, per raggiungere il teatro Stabile, quando i killer del clan Santapaola lo uccisero a colpi di pistola.
Era il 5 gennaio di 41 anni fa. Fava era stato ucciso perché la sua integrità morale e civica gli imponeva di reagire con forza alla sopraffazione esercitata da Cosa Nostra e dal potere politico-imprenditoriale con cui la mafia si relazionava sul popolo catanese. Così, ‘armato’ di penna, pensiero libero e critica senza sconti di sorta, coraggiosamente, denunciava il malaffare e le corruzioni politico-mafiose, soprattutto i lucrosi affari dei boss con i cavalieri del lavoro Graci, Finocchiaro, Rendo e Costanzo, ribattezzati dal suo giornale “i 4 cavalieri dell'apocalisse mafiosa”.
Per questo fu decretata la condanna a morte del giornalista ed intellettuale. Pippo Fava è uno dei migliori esempi che il giornalismo ha a disposizione: il suo, e quello di altri ammirevoli volti come Francese, Alfano, Spampinato e Siani, è stato un giornalismo di denuncia, senza riserve, senza compiacenza, scevro da pressioni, dedito unicamente alla ricerca della verità e alla trasparenza.
È una forma di giornalismo che il potere odia e che vorrebbe estinto ancora oggi, basti pensare alle riforme ‘bavaglio’ Cartabia e Nordio.